Studenti in scena ricordando Rostagno eroe normale, giornalista rivoluzionario


Studenti in scena ricordando Rostagno eroe normale, giornalista rivoluzionario
Didascalia: Studenti in scena ricordando Rostagno eroe normale, giornalista rivoluzionario

Non un eroe, ma una persona normale che svolgeva con scrupolo il mestiere di giornalista, senza voltarsi mai dall’altra parte. Così, a 30 anni dalla sua morte per mano mafiosa, il sociologo e giornalista Mauro Rostagno è stato ricordato stamane alla presenza, tra gli altri, del presidente nazionale dell'Ordine dei giornalisti Carlo Verna, al Teatro Biondo, a Palermo: "Un uomo, una storia, un giornalista rivoluzionario ucciso sulle strade della legalità" è il titolo dell'iniziativa organizzata dall’Ordine dei Giornalisti di Sicilia e dall’Unione nazionale cronisti, con il patrocinio del Comune di Palermo-Capitale italiana della Cultura 2018. Al convegno, che rientra tra gli eventi formativi, ed è stato moderato Leone Zingales, vicepresidente nazionale dell’Unci, hanno preso parte il giornalista Salvo Palazzolo; il presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, Giulio Francese; il presidente dell’Assostampa siciliana, Alberto Cicero, il presidente nazionale dell’Unci Alessandro Galimberti, il presidente Unci Sicilia Andrea Tuttoilmondo, il segretario regionale Assostama Roberto Ginex, e l’onorevole Claudio Fava, giornalista e presidente regionale della Commissione antimafia. Spazio anche agli studenti con l'opera teatrale "Mauro Rostagno, un uomo vestito di bianco", una elaborazione drammaturgica a cura della regista Adriana Castellucci con la partecipazione dei ragazzi del liceo "Galilei" di Palermo. 

 

Il presidente dell'Ordine dei giornalisti di Sicilia ha ricordato Rostagno che da una televisione locale denunciava le attività mafiose e le complicità di partiti e istituzioni: «L'hanno ucciso per le verità scomode che raccontava. Trent'anni dopo la sua morte, aspettando piena verità e giustizia, proviamo a ricordare il giornalista rivoluzionario che è stato, il suo coraggio e la sua passione civile e lo facciamo anche con uno spettacolo in cui è lui a raccontarsi e a farci capire: Mauro Rostagno, l'uomo vestito di bianco. Un Mauro Rostagno sorridente, coerente con i suoi ideali, una bella figura che vogliamo fare conoscere ai giovani e per questo l'evento è aperto anche alle scuole». Poi, rivolgendosi ai tanti studenti presenti in sala, Francese ha proseguito: «Si dice che i giovani sono quelli che si documentano poco, che non hanno voglia di capire cosa accade. So che mi sbaglio e so che avete un modo tutto vostro di informarvi. Allora aiutateci a capire che tipo di informazione possiamo e dobbiamo dare. Un insegnamento che ci ha lasciato Rostagno è sicuramente quello di mettersi in discussione, e noi possiamo provarci trovando un modello di informazione meno paludata è più vicina a voi giovani».

 

«La democrazia muore nell’oscurità», ha esordito il presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti Carlo Verna citando la frase inserita dai colleghi della testata Washington Post come sottotitolo nella versione web del quotidiano statunitense. «Noi dobbiamo allontanare il più possibile questa pericolo - ha ribadito - E dobbiamo farlo creando uno spirito di comunità. Come nel caso del cronista Salvo Palazzolo, indagato dalla Procura di Catania per rivelazione di notizie. Ieri siamo stati nella redazione palermitana di La Repubblica, perché noi dobbiamo essere sempre vicini a chi porta avanti certi valori. È questo il senso del giornalismo, una funzione sociale al servizio di tutti. Come diceva il presidente Ciampi, dobbiamo andare avanti con la schiena dritta per far sì che il giornalismo sia al passo con i tempi. Perché vedete quando ero giovane, il giornalista deteneva una sorta di monopolio, era l’unico soggetto che parlava da uno a tanti. Oggi non è più così, la rivoluzione del web offre tante opportunità ma anche tante insidie. Adesso c’è la necessità di dare le risposte opportune a una situazione diversa. Ma lo dobbiamo fare ricordando che il senso morale e filosofico del giornalismo, anche se cambiano gli strumenti, resta lo stesso”.

 

“Io non voglio sentire più la parola eroe - ha detto Galimberti prendendo la parola - Non solo perché ho visto questo spettacolo che ci restituisce Mauro Rostagno per quello che era, una persona, non un eroe, piena di contraddizioni. Una persona che alla fine ha seguito l’unica linea di coerenza che ha avuto nella vita: l’impegno civile. Ma c’è un inganno nel chiamarlo eroe. In questi anni ho conosciuto i familiari dei colleghi uccisi in Sicilia e anche in Campania, e ho capito che ognuno di loro non si sentiva tale. Erano persone estremamente normali, tutte unite da un tratto comune: un forte senso di normalità e giustizia. Hanno agito senza eroismo in un momento in cui era molto difficile essere giornalisti perché la loro professione voleva dire ottenere l’isolamento sociale, culturale e professionale. Perché questi colleghi sono morti da soli e hanno riposato per anni da soli dimenticati. È proprio questo l’inganno: la normalità di questi colleghi si contrappone all’anormalità di tutto quello che hanno vissuto, la sopraffazione, la violenza. Questa è l’anormalità: non esiste l’eroismo di Fava, Francese o Rostagno. Esiste la disprezzabile anormalità delle persone che avevano intorno. Dobbiamo far cessare quell’indifferenza che ha ucciso quelle persone. Possiamo pensare di avere un futuro migliore se cercheremo di essere un po’ più simili a loro”.

 

 

Le conclusioni sono state affidate a Fava, che ha rievocato la prima volta che ha incontrato Rostagno in un’aula di tribunale: “L’idea di giornalismo di Mauro è un’idea che ancora aspetta di affermarsi come pratica professionale - ha sottolineato - Io l’ho conosciuto da cronista in una situazione imprevedibile. Ero stato citato come testimone nel processo dell’omicidio del sindaco di Trapani di cui mi ero occupato per I Siciliani. Un processo che racconta la storia della Sicilia, e racconta cos’è la mafia: un sistema di potere in condizioni di garantirsi impunità attraverso un reticolo di complicità. Si apre il processo in un’aula senza giornalisti, ad eccezione di una sola telecamera. Dietro c’è Rostagno. Lo conobbi in quella occasione e mi spiegò che queste cose le raccontava con l’entusiasmo del giovane cronista. Viene ucciso per questo, Rostagno, doveva essere punito perché si capisse in che modo si doveva fare il giornalismo in terre com'era Trapani allora: voltando lo sguardo da altre parte. A questa lezione dobbiamo far riferimento, dobbiamo farci carico di renderla attuale. Perché io considero non una coincidenza, ma un appello al nostro senso di responsabilità che si ricordi oggi il 30esimo anniversario della morte di Rostagno nel momento in cui per la prima volta viene sequestrato un giornale considerato oggetto di accumulazione mafiosa», ha aggiunto Fava tornando sul ciclone giudiziario che ha travolto l’editore e direttore del quotidiano catanese La Sicilia, Mario Ciancio Sanfilippo, dopo il decreto di sequestro e confisca, su richiesta della Procura etnea, nei suoi confronti. «Ricordiamo Rostagno riassumendo per intero la responsabilità di fare del giornalismo un mestiere non neutrale, dove devi scegliere da che parte stare - ha concluso -, e la scelta non è se fare l’eroe o meno, ma se raccontare o meno, e di fare il tuo mestiere normale di giornalista».