La lezione di Mauro Rostagno, 31 anni dopo: passione civile e il coraggio della denuncia


La lezione di Mauro Rostagno, 31 anni dopo: passione civile e il coraggio della denuncia
Didascalia: La lezione di Mauro Rostagno, 31 anni dopo: passione civile e il coraggio della denuncia

Trentuno anni fa veniva ucciso a Trapani Mauro Rostagno. Una vita breve ma intensa, la sua, ucciso dalla mafia all'età di 46 anni. Tante vite vissute in questa sua breve esistenza, sempre con grande impegno. Sognava, da leader del '68, la rivoluzione, sognava di cambiare il mondo, di frantumare il provincialismo culturale di quel tempo, sognava una società più giusta , sempre pronto a promuovere  i valori della solidarietà e del bene comune. E a quei valori e a quell'impegno civile che ha manifestato da giovanissimo  è rimasto sempre fedele.

Anche nella sua nuova vita da giornalista. Lui, l’uomo vestito di bianco, approdò quasi per caso al giornalismo. Un'avventura breve, quest'ultima, appena due anni, in cui, attraverso una piccola emittente di Trapani, RTC, Rostagno seppe dare il meglio di sé. La gente restava incollata alla tv dove con schiettezza,  serietà, rigore,  passione civile  ma anche con acuta ironia  raccontava cos’era la mafia, la mala politica, la corruzione, gli intrecci mafia-politica-massoneria.

«La vera rivoluzione è in Sicilia», diceva. E lui la stava compiendo davvero una rivoluzione in quel mondo giornalistico di provincia abituato al quieto vivere, ai silenzi omertosi. Lui che siciliano non era ma che  ai telespettatori  diceva: «Io sono più siciliano di voi, perché ho scelto di esserlo». Così come ha scelto di essere giornalista. E che giornalista è diventato in poco tempo.

Fu un pioniere dei processi in diretta. Al processo per l’omicidio dell’ex sindaco di Castelvetrano, Vito Lipari, che vedeva alla sbarra il boss Mariano Agate, la sua telecamera era presente in aula ad ogni udienza.  E in video, nei suoi speciali di approfondimento, diceva di rammaricarsi che il processo non venisse seguito dall’opinione pubblica con la passione civile che avrebbe meritato, perché considerava quel delitto politico-mafioso  un punto di snodo della storia trapanese.

 

Coraggioso, ma anche solo Mauro Rostagno. E come diceva Giovanni Falcone si muore quando si è soli. Non sappiamo se avesse la consapevolezza di essere nel mirino. Di certo le minacce erano arrivate, ma le aveva liquidate con una risata, la sua bella risata. Perché era l’ironia l’altro dono di Mauro. Nel suo libro "Reagì Mauro Rostagno sorridendo", Adriano Sofri racconta un episodio. Una volta Rostagno chiese un’intervista a un notabile trapanese e quello gli rispose: ma vai a zappare. E nel tg Rostagno si presentò con una zappa in mano, a lavorare in un campo. «L’assessore mi ha detto di andare a zappare e l’ho voluto accontentare. Dopo averlo accontentato, voglio raccontarvi cosa avrei voluto dirgli». Un’ironia che ricorda quella di Peppino Impastato, ucciso anche lui dieci anni prima.

Eppure ci hanno provato a sporcare la sua figura. Nella vicenda giudiziaria la pista mafia, la più logica, tardò ad essere presa in considerazione. Non sono mancati i depistaggi, la pista interna a Saman che portò ad alcuni arresti, compreso quello della compagna Chicca Roveri, o quello di un regolamento di conti interno a Lotta Continua, per impedirgli di rivelare verità scomode sui suoi ex compagni,  tra cui Adriano Sofri, accusato dell’omicidio del commissario Calabresi. Anche Rostagno ricevette nell'ambito di questa vicenda  una comunicazione giudiziaria. Ne parlò nella sua televisione, spiegava  di attendere di capire da chi e perché veniva tirato in ballo in questa storia. Questo accadeva appena un mese prima della sua uccisione.

 

Volevano delegittimarlo? Ecco la sua risposta in tv: «Qualche spiritoso qua in loco si è fatto delle curiose idee sul mio conto, che vorrei subito dissipare: per esempio si è fatta l’idea che questa vicenda ha finito per mettermi il bavaglio alla bocca, che mi sono data una calmata: Stiano pure tranquilli, non è così, non mi sono calmato. Si mettano quindi calmi coloro che sperano che questa cosa mi faccia levare le tende e andare per altri lidi. Non è questo il caso».

Gli rendono giustizia le parole dei pubblici ministeri nella requisitoria del processo di primo grado. 

Il pm Gaetano Paci dirà di lui: «Dopo che è stato scandagliato ogni aspetto dell’esistenza poliedrica di Mauro Rostagno, resta lo splendore della sua figura umana e intellettuale».

E l’altro pm, Francesco Del Bene: «Io aspetto ancora una televisione che venga qui a parlare di mafia come ne parlava Rostagno».

 

Purtroppo la vicenda giudiziaria, a 31 anni dalla morte di Mauro,  non si è ancora conclusa. Il processo d'appello ci ha consegnato una mezza verità, confermando l’ergastolo per il mandante dell’omicidio, il boss Vincenzo Virga, ma non per il presunto killer, Vito Mazzara. Aspettando che si faccia verità e giustizia piena, sappiamo che la mafia si è presa la sua vita ma che Mauro Rostagno, dopo tanti anni di colpevole silenzio, oggi è più che mai vivo, rappresenta per tutti noi un modello di buon giornalismo di cui, in questi tempi così difficili per il mondo della stampa, sentiamo una grande necessità. Un  giornalismo che deve tornare tra la gente. Un giornalismo che torna a guardarsi intorno e a raccontare ciò che vede, come faceva Rostagno. Mettendoci la faccia, coraggio, creatività, passione civile.