Diffamazione, stop al carcere, Ordine: "Bene ma la strada è lunga"


Diffamazione, stop al carcere, Ordine:
Didascalia: Diffamazione, stop al carcere, Ordine: "Bene ma la strada è lunga"
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Niente più carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa, ma due tipi di multa a seconda della gravità del fatto, con multe dai 5mila fino ai 60mila euro e, nei casi di recidiva, dai 6 ai 12 mesi di sospensione. E arriva anche l’obbligo della rettifica senza commento: in caso di violazione dell'obbligo scatta una sanzione amministrativa da 8mila a 16mila euro. Queste alcune delle novità contenute nella bozza della nuova legge sulla diffamazione, varata nei giorni scorsi alla Camera e presto al vaglio del Senato, che raccoglie l’approvazione del presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino e del segretario generale della Fnsi, Franco Siddi, per la cancellazione del carcere, ma anche numerose critiche, in particolare per le cosiddette “cause temerarie”, utilizzate spesso con intenti intimidatori. Per l’Unci è un'occasione mancata con un ddl “lontano anni luce da un’apertura libertaria in sintonia con i richiami dell’Europa”, e propone numerosi correttivi, a partire dalla depenalizzazione del reato di diffamazione, inasprimento delle condanne del querelante a una pesante pena pecuniaria nei confronti del querelato in caso di “lite temeraria”, e l’eliminazione della previsione dell’interdizione professionale.

Tra le modifiche contenute nella bozza che interviene sul reato di diffamazione a mezzo stampa, l’aspetto più importate è la cancellazione del carcere per i giornalisti, sostituito da una multa, in caso di attribuzione di un fatto determinato, che va dai 5mila ai 10mila euro. Se il fatto attribuito è consapevolmente falso, la multa si inasprisce, a partire dai 20mila fino ai 60mila euro. Alla condanna è associata la pena della pubblicazione della sentenza. In caso di recidiva, vi sarà anche l'interdizione da uno a sei mesi dalla professione. La rettifica sarà valutata dal giudice come causa di non punibilità.

Le rettifiche devono essere pubblicate senza commento e risposta, menzionando espressamente il titolo, la data e l'autore dell’articolo diffamatorio. Il direttore dovrà informare della richiesta l'autore del servizio. In caso di violazione dell'obbligo, scatta una sanzione amministrativa da 8mila a 16mila euro. Nella legge sulla stampa rientrano ora anche le testate giornalistiche online e radiofoniche. Per quanto riguarda la diffamazione a mezzo stampa, il danno sarà quantificato sulla base della diffusione della testata, della gravità dell'offesa e dell'effetto riparatorio della rettifica. L'azione civile dovrà essere esercitata entro due anni dalla pubblicazione.

Per quanto riguarda la responsabilità del direttore, infine, esclusi  i casi di concorso con l'autore del servizio, il direttore o il suo vice rispondono non più a titolo di colpa ma solo se vi è un nesso di causalità tra omesso controllo e diffamazione. La pena è in ogni caso ridotta di un terzo, ed è comunque esclusa per il direttore al quale sia addebitabile l'omessa vigilanza l'interdizione dalla professione di giornalista. Le funzioni di vigilanza possono essere delegate, ma in forma scritta, a un giornalista professionista idoneo a svolgere tali funzioni.

Uno sforzo, quello compiuto alla Camera sul testo, insufficiente per l’Unci che giudica il ddl “lontano anni luce da un’apertura libertaria in sintonia con i richiami dell’Europa” a fronte di proposte di riforma del reato di diffamazione che “da venti anni vanno avanti e indietro in Parlamento, a passo di gambero, fra infinite resistenze”. 

E ricordando come i cronisti, per la loro specifica attività, sono più esposti ai rischio di cause esose per risarcimenti di danni, l’Unci punta il dito contro il moltiplicarsi delle querele "ricattatorie", sempre più spesso utilizzate “come arma di pressione contro il diritto di cronaca e il diritto di critica, con intenti intimidatori sui giornalisti”. Invocando una decisa inversione di rotta della legislazione, propone alcuni correttivi da apportare al testo, a partire dalla depenalizzazione del reato di diffamazione a mezzo stampa. In sintonia con gli indirizzi delle istituzioni internazionali, ONU, Consiglio d’Europa, OCSE, nonché di sentenze della Cassazione, occorre radicalmente modificare l’articolo 13 della legge sulla stampa del  1948, i cui contenuti sono ereditati dal famigerato codice fascista Rocco.

La responsabilità del direttore rimane  legata agli obblighi della  legge sulla professione giornalistica e agli atti conseguenti i patti contrattuali. La rettifica utilizzata solo come condizione pregiudiziale alla richiesta di risarcimento danni, con tempi di pubblicazione compatibili con i necessari controlli sulla veridicità della smentita e delle precisazioni richieste, e la costituzione di un giurì di cittadini estranei alla sfera dei poteri pubblici e privati per la lealtà dell’informazione.

Tempi più stretti per il diritto al risarcimento del danno, che va prescritto entro tre mesi per evitare un uso strumentale del ricorso all’autorità giudiziaria e la condanna del querelante a una pesante pena pecuniaria nei confronti del querelato in caso di “lite temeraria”. Da eliminare la previsione dell’interdizione professionale e la garanzia di maggiori tutele per i cronisti, con l’emendamento del comma 3 dell’articolo 200 del Codice di procedura penale sul segreto professionale (tutelato dalla legge sull’Ordine e dal Consiglio d’Europa), affinché le disposizioni di totale riconoscimento e tutela, previste dai commi 1 e 2 per medici, avvocati e levatrici, siano estese anche ai giornalisti professionisti, praticanti e pubblicisti.

Divieto di perquisizioni, sequestri, interrogatori, fermi di polizia, intercettazioni telefoniche nei confronti dei giornalisti, in particolare se finalizzate all’individuazione delle fonti di informazione ritenute responsabili di fuga di notizie. E l’esclusione della corresponsabilità dei giornalisti nelle violazioni dei segreti di indagini, di ufficio, provocate da terzi specie se ignoti. 

Per il presidente dell’Ordine nazionale dei Giornalisti, Enzo Iacopino, la bozza, pur rappresentando un “primo passo”, è la prova di come “la strada per garantire ai cittadini il diritto ad una informazione libera da condizionamenti sia ancora lunga”. E se da un lato “è doveroso ringraziare la Camera dei Deputati che ha abolito il carcere per i giornalisti”, restano sul tappeto punti che meriterebbero un maggior approfondimento,  come il tema delle “querele temerarie, presentate per intimidire i giornalisti, che non può considerarsi risolto prevedendo una ammenda che va da 1.000 a 10.000 euro”. E inquietudine suscita anche l’idea dell’obbligo della rettifica da pubblicare senza commento “perché sembra sparita la possibilità di replicare nel caso la stessa contenga elementi falsi, come era previsto nel testo della commissione”.

Anche il segretario generale della Fnsi, Franco Siddi, giudica il testo un “chiaro passo in avanti nella direzione della civiltà giuridica europea”, poiché abolisce il carcere a carico dei giornalisti, ma contiene anche elementi di “evidente arretratezza e condizionamento”. In particolare delude “che il riconoscimento del segreto professionale anche per il giornalista pubblicista sia accompagnato dalla conferma dell’obbligo di rivelare la fonte qualora ritenuta determinante per dirimere una causa di diffamazione”. Altro motivo di amarezza, rileva Siddi, è la bocciatura dell’emendamento sulle liti temerarie in sede civile, spesso avviate “allo scopo di intimidire giornalisti e editori con richiesta di risarcimenti esorbitanti e condizionare”. Siddi, concludendo, si augura che in Senato “sia possibile compiere un passo definitivo in direzione di una legge per la libertà di informazione, nel giusto equilibrio tra diritti e doveri  di lealtà e correttezza”.